Ci sono artisti che usano la fotografia per raccontare il mondo, e poi ci sono artisti come Moira Ricci, che usano per ricucire il tempo. Nata nel 1977 a Orbetello, in Maremma, Ricci ha costruito la sua carriera partendo da un gesto semplice ma potentissimo: guardare le vecchie foto di famiglia e entrarci dentro. Letteralmente.

La sua serie più famosa, “20.15.23 – 10.08.04”, prende il titolo dalle date di nascita e di morte di sua madre. Dietro a quei numeri c’è una storia di dolore, amore e nostalgia. Con un lavoro meticoloso di fotoritocco, Moira si inserisce nelle fotografie del passato, accanto alla madre, in momenti in cui lei ancora non c’era. E’ come se volesse dirle:
“Non sei mai stata sola, mamma. Io ero già con te, anche prima di nascere.”
Quando ho visto per la prima volta le sue immagini, ho provato una sensazione strana, una miscela di tenerezza e malinconia. Mi ha colpito la delicatezza con cui Moira si “infiltra” nel passato, senza rovinarlo. Riesce a rendere visibile l’invisibile, a mostrare quel legame invisibile tra chi c’è e chi non c’è più.

In un intervista Ricci ha detto:
“la fotografia è un modo per riempire un’ assenza. Non restituisce ciò che manca ma ci aiuta a capire quanto ci ha segnato.”
E in effetti, tutta la sua arte sembra un dialogo con il tempo, con la perdita, ma anche con le radici. Nei suoi progetti successivi, come “Da buio a buio” (2014), esplora il mondo contadino della sua terra, raccontando le persone e i luoghi che stanno scomparendo. Le sue immagini sembrano provenire da un sogno rurale, dove ogni luce e ogni ombra custodiscono una memoria
Guardando le sue opere, ho pensato a quanto sia fragile la nostra identità. quante volte dimentichiamo da dove veniamo? Moira Ricci ci ricorda che ricordare è un atto d’ amore: verso chi ci ha preceduto, verso noi stessi, verso la vita che cambia ma non smette mai di lasciare tracce.
Forse è proprio questo che rende la sua arte così potente – non parla solo della sua storia, ma anche della nostra. Perchè, in fondo, tutti abbiamo una fotografia che vorremmo attraversare, solo per poter dire un’ ultima volta:
“Ero lì con te.”




